Lo smart working alleggerisce il pendolarismo nelle regioni del Nord il venerdì e il giovedì, le giornate in cui i lavoratori e le imprese tendono a fare maggiore ricorso a questa modalità di lavoro. È quanto emerge da una ricerca del Centro Studi di Assolombarda realizzata con Zucchetti a partire da un’ingente mole di dati amministrativi: stiamo parlando di 900mila lavoratori alle dipendenze di poco meno di 15mila aziende, concentrati nel Nord Italia, fino all’Emilia Romagna. Circa il 40% delle aziende e dei lavoratori del campione esaminato si trova nelle province di Milano, Monza, Lodi e Pavia. I dati considerati non sono frutto di stime statistiche, ma sono dati amministrativi certi sulle presenze al lavoro, elaborati da Zucchetti in forma aggregata e salvaguardando l’anonimato dell’azienda.
Il venerdì giorno preferito per lo smart working
Lasciandoli parlare dicono che il giorno preferito per il lavoro da remoto risulta il venerdì, in cui si concentra quasi un quarto delle ore (24%). Segue il giovedì con il 20,1%, il lunedì con il 19,1%, il mercoledì con il 18,5%, mentre il martedì, con la quota più bassa, ossia il 17,9%, risulta il giorno preferito per andare in ufficio. «La distribuzione settimanale delle ore di smart working è un’informazione particolarmente preziosa in un’ottica di mobilità e gestione dei flussi di pendolarismo che potrebbe aiutare le città a gestire meglio il trasporto pubblico locale e a migliorare la gestione del traffico», osserva il senior expert del Centro Studi di Assolombarda, Andrea Fioni. Soprattutto in una fase come questa in cui le aziende del trasporto pubblico locale sono alle prese con la carenza di autisti e le amministrazioni con le polveri sottili.
Mobilità e risparmio dei costi
Come racconta il patto tra le parti sociali per favorire lo smart working a Roma durante il Giubileo e decongestionare il traffico nella Capitale siamo di fronte a una modalità di lavoro che – lo abbiamo visto anche durante la pandemia – va ben oltre le questioni organizzative. Così ci sono accordi di grandi aziende in cui l’utilizzo è previsto in caso di eventi climatici eccezionali. Altri che per razionalizzare anche i costi energetici e di gestione delle sedi prevedono per tutti il lavoro da remoto il venerdì. Premesso che ogni organizzazione ha il suo Dna e ciò che funziona in alcuni casi non è generalizzabile, lo smart working sembra però essere tra i più interessanti alleati delle aziende anche per fare fronte al cambiamento climatico e al risparmio dei costi. Per prendere decisioni servono però dati certi, come quelli dello studio citato, che, anche grazie al digitale, abbondano e oggi sono di di più facile lettura. E aiutano a intercettare molteplici spunti organizzativi e di welfare. Vediamo.
Una delle più significative analisi consentite dal database amministrativo di Zucchetti è quella delle fasce generazionali. I dati confermano che fino ai millenials, ossia i lavoratori nati prima del 1996, la quota di smart worker cresce al diminuire dell’età. Ma poi tra gli appartenenti alla generazione Z (under 27) la quota scende al 4% (si veda infografica). «Due le ragioni – interpreta Fioni -. Da un lato in quella fascia di età l’occupazione si concentra in settori e in attività meno compatibili con la modalità del lavoro a distanza, dall’altro molti di questi giovani sono neoassunti in fase di inserimento, impegnati quindi in attività che richiedono la presenza».
I dati amministrativi ci confermano che le quote di chi fa smart working non stanno scendendo per ora. Si tratta di «una preziosa fonte conoscitiva che consente di aggiungere importanti dettagli alla stima statistica», spiega Fioni. Stando appunto all’analisi dei dati amministrativi, la quota media di smart worker nel Nord Italia raggiunge il 13,3%, un dato coerente con il 12% medio nazionale stimato da Eurostat. Se consideriamo le province di Milano, Monza, Lodi e Pavia, la percentuale di smart worker sale al 16%, contro l’11,6% del resto del Nord. Nella Città Metropolitana di Milano la quota di lavoratori che svolge, almeno parzialmente, la propria attività da casa raggiunge il 16,7%, con punte del 17,6% nelle aziende che hanno sede nel Comune di Milano, contro il 14,8% dell’hinterland. Il capoluogo lombardo è quindi quello dove questa modalità organizzativa è più utilizzata.