In tre anni il turn over (il ricambio del personale) nel retail organizzato è destinato a superare, in media, un tasso del 40%. Una previsione che genera non poca preoccupazione nelle grandi catene, soprattutto per l’avanzare del disallineamento domanda e offerta di lavoro che, ormai, non risparmia nessun settore. Di qui l’attenzione «sempre più forte ai temi organizzativi e il rafforzamento delle direzioni delle risorse umane, dove oggi c’è un rapporto di 15 addetti ogni mille dipendenti, quindi pari all’1,5%, quintuplicato rispetto a pochi anni fa quando era dello 0,3%. Con una forte specializzazione verticale e persone dedicate al recruiting, alla formazione, all’inserimento», racconta Davide Pellegrini, economista dell’Universita di Parma che insieme a Francesco Massara, che insegna marketing allo Iulm, ha realizzato una ricerca per Confimprese e Largo Consumo dove viene raccontato il lavoro nel retail organizzato. Si tratta del sottoinsieme più significativo del commercio, dove, secondo i dati Istat, i lavoratori sono oltre 3 milioni.
La criticità del turn over
La ricerca, intitolata Retail people track, si è svolta in due fasi: la prima, curata dallo Iulm, ha coinvolto 3.260 lavoratori, cercando di capire età, tipologia contrattuale, stipendio. La seconda, curata dall’Università di Parma, ha invece misurato l’efficacia e l’efficienza organizzative degli head quarter del retailing. L’aspetto più critico è quello del turn over che «richiede un cambio di paradigma nella gestione delle persone: se fino a pochi anni fa le risorse umane erano considerate importanti ma non strategiche per via dell’abbondanza dell’offerta di persone sul mercato, adesso non è più così, per molteplici ragioni che vanno dalla demografia alla conciliazione vita lavoro. E questo comporta maggiore attenzione nella loro gestione anche agli aspetti del benessere e dell’engagement», dice Massara.
La prevalenza di donne e giovani tra i lavoratori
Tra i lavoratori c’è una netta predominanza femminile, con le donne che rappresentano il 68%. La forza lavoro è prevalentemente giovane: l’82,39% dei lavoratori ha meno di 45 anni e il 53,40% meno di 35 anni. Dal punto di vista occupazionale, il 63,19% degli intervistati sono impiegati come assistenti alla vendita, il 20,28% gestisce le casse e il 15,98% ricopre ruoli di store manager. Ha un contratto a tempo indeterminato il 60,52% dei lavoratori. L’esperienza nel settore varia notevolmente: solo il 21,20% degli intervistati ha più di 10 anni di esperienza nel retail. La maggior parte dei lavoratori, oltre il 90%, ha uno stipendio netto che oscilla tra i 500 e i 2mila euro al mese. «Una forchetta ampia dovuta soprattutto all’incidenza del part time nel settore – osserva Massara -. In particolare, però, se consideriamo chi ha un contratto a tempo indeterminato allora il range è tra mille e 2mila e se consideriamo i soli full time va da 1.500 a 2mila euro». Da notare che il 7,48% del campione è costituito da “nuovi italiani”, un dato che mostra la diversità culturale che si sta affermando nella forza lavoro e che sarà sempre più necessaria per fare fronte al mismatch tra domanda e offerta di lavoro.
Le variazioni dei livelli di stress
Attraverso un vero e proprio barometro della forza vendita i ricercatori hanno valutato il benessere e lo stress dei lavoratori, oltre al loro engagement (impegno e coinvolgimento) che mostra anche una specificità di genere: le donne dimostrano infatti una maggiore motivazione rispetto agli uomini e al terzo genere. A risentire maggiormente delle condizioni lavorative sono soprattutto i lavoratori più giovani, mentre c’è un netto miglioramento tra coloro che hanno più di 46 anni o oltre 11 anni di esperienza nel settore. Al Sud il lavoro nel retail suscita un maggiore interesse, forse a causa di un insieme di fattori ambientali, economici, sociali e culturali, come la disoccupazione e il costo della vita. I livelli di maggiore engagement e i minori livelli di stress si riscontrano tra gli store manager, mentre chi lavora alle casse o come assistente alla vendita sente di più la pressione lavorativa. Inoltre, sempre con riferimento all’engagement, i lavoratori a tempo indeterminato mostrano un livello maggiore rispetto a quelli a tempo determinato. Un altro fattore che emerge chiaramente è che l’esperienza lavorativa porta a una riduzione dello stress e a un aumento dell’engagement, sopratutto dopo i 10 anni di esperienza. Quando si parla di stress emerge anche che esiste una relazione a U rovesciata tra reddito e stress: l’engagement e il benessere sono ottimali tra i 1.500 e 2.000 euro, ma diminuiscono sopra questa soglia. Tra i fattori di stress ci sono la gestione delle file alle casse, l’estensione degli orari di apertura, le dimensioni del negozio, la congestione nel punto vendita, la gestione dei reclami dei clienti.
I trend emergenti nella gestione delle risorse umane
Tra i trend emergenti, innescati dal turn over e dai costi che comporta Pellegrini indica «l’attenzione alla formazione e le collaborazioni con gli Its per poter fare fronte alla carenza di profili specializzati, la mobilità tra il negozio e la sede centrale creando prospettive di carriera, le analisi di clima che in passato non si facevano ma che ormai sono una caratteristica di tutte le catene, la semplificazione delle attività, una maggiore flessibilità oraria. Certo in Italia siamo lontani dalle sperimentazioni sulla settimana corta nel retail che si sta sperimentando in alcune catene belghe e in alcune realtà del Nord Europa, ma c’è un sensibile miglioramento sugli orari e, per esempio, anche sulla possibilità di fare i turni spezzati, considerato che nel settore si lavora anche il sabato e la domenica».