Da pochi giorni la settimana corta è entrata nell’iter di valutazione in commissione Lavoro alla Camera, dove sono all’esame tre disegni di legge delle opposizioni sulla settimana corta. Mentre si attende l’esito del ciclo di audizioni in cui verranno sentite le parti sociali, le imprese che hanno già innovato introducendo la nuova organizzazione in accordo con i sindacati, il mondo dell’accademia e le associazioni, l’Aidp, l’Associazione italiana per la direzione del personale, ha sondato oltre mille manager delle risorse umane per capire come si sta evolvendo la loro valutazione. Si può passare da 5 a 4 giorni lavorativi alla settimana? Quali sono i vantaggi? E i problemi? Concentrare il lavoro in quattro giorni, a parità di orario e stipendio, è più facile a dirsi che a farsi: non ci sono modelli standard che possano andare bene per tutte le imprese che hanno specificità di settore e contrattuali diverse e allora la via migliore sembra essere la sperimentazione. Tuttavia oltre la metà dei manager vedono la questione come un’opportunità.
Le ragioni dei manager favorevoli alla settimana di 4 giorni invece di 5
Il 53% dei direttori del personale dice che si può fare e che l’organizzazione del lavoro su 4 giorni anziché 5, potrebbe portare molti benefici ai lavoratori. Non mancano coloro che hanno perplessità che sono il 40% e coloro che invece sono contrari che sono una piccola minoranza, il 6%. Tra le ragioni indicate dai manager che sono favorevoli, ci sono la possibilità di migliorare la conciliazione vita-lavoro, come afferma il 79%, l’aumento del benessere psico-fisico di cui parla il 46% e il miglioramento della motivazione al lavoro come afferma il 27%.
… e le ragioni dei contrari
Se invece andiamo a testare coloro che non sono d’accordo, per il 50% la misura non è compatibile con la situazione economica e produttiva delle nostre imprese, per il 37% vi è una difficoltà di implementazione organizzativa e per il 20% implicherebbe tra le 9 e le 10 ore di impegno giornaliero. Perché va da sè che il ragionamento è fatto a parità di orario, non in riduzione di orario. Tra coloro che hanno espresso una visione parzialmente favorevole (il 40%), bisognerebbe definire, come a suo tempo è stato fatto per lo smart working, una misura delle produttività basata sulle performance, con linee guida definite dalla contrattazione nazionale (per il 41%), oltre la valutazione preliminare della sostenibilità economica (per il 34%) e difficoltà a livello di implementazione organizzativa (per il 25%).
La via maestra della sperimentazione
Un modello standard che possa andare bene per tutti, secondo il presidente dell’Aidp, Matilde Marandola, sembrerebbe molto difficile da individuare, tanto più che ogni settore e ogni azienda ha peculiarità e anche contratti molto specifici: «Il tema dell’introduzione della settimana corta evidenza, ad oggi, luci ed ombre. Se da un lato, come si evince anche dalla nostra survey, le ricadute positive sui lavoratori in termini di migliore equilibro e qualità del rapporto vita-lavoro sarebbero evidenti, oltre all’impatto che questo avrebbe in termini di maggiore produttività, dall’altro gli aspetti di natura retributiva e organizzativa che tale soluzione comporterebbe sono ancora da valutare. Quindi, seppur culturalmente siamo favorevoli nei confronti della settimana corta è sempre importante comprendere e ascoltare le situazioni delle singole aziende e delle singole persone. Una decisione standard e uguale per tutti potrebbe avere ricadute negative sulla motivazione, sulla retention e sull’economia. Per queste ragioni la via della sperimentazione è quella maestra per verificare e testare la reale e virtuosa fattibilità dell’introduzione a regime della cosiddetta settimana corta. Soluzione alla quale anche l’AIDP guarda con equilibrio e interesse visto il grande impatto sociale e economico che avrebbe». Dalla survey emerge proprio che il migliore modo per implementare la settimana corta nella propria azienda, secondo il 62% dei manager delle risorse umane sarebbero delle soluzioni sperimentali. La contrattazione dovrebbe poi entrare nelle partita: per il 33% a livello aziendale e per il 24% a livello nazionale. Un manager su quattro (26%) si dice favorevole a mantenere lo stesso salario ma riducendo i giorni, mentre per l’8% riducendo parzialmente lo stipendio in proporzione alle giornate lavorate. Il 20%, invece ipotizza di mantenere lo stesso numero di ore contrattuali ma riducendo i giorni.