La nuova patente a crediti, di cui si parla da anni, perché si applica solo in edilizia?
Stiamo parlando di una previsione del Testo Unico 81, e di una esplicita e forte richiesta dei sindacati fin dal 2021, mai attuata. È un meccanismo che analizza gli infortuni, impedendo il reiterarsi di situazioni non virtuose. Introdurlo è un atto di coraggio. È anche un modo concreto per spingere tutti a prestare attenzione al rispetto delle regole, specialmente nel settore edile dove è stata registrata una particolare debolezza del sistema. In futuro sarà esteso ad altri settori ad alto rischio. Sono pronta ad accogliere proposte migliorative che rendano lo strumento ancora più efficace e aiutino a qualificare le imprese. La patente a crediti sarà digitale, rilasciata dall’Inl, obbligatoria per le imprese a eccezione di quelle che hanno la qualificazione SOA, e per i lavoratori autonomi attivi nei cantieri temporanei o mobili, il che significa in tutti i cantieri. Il nostro obiettivo è rendere lo strumento generale, specie in settori che prevedono il contemporaneo svolgimento di più fasi di lavoro.
Quali le novità in tema di Durc?
L’intervento vuole incentivare le aziende sane. L’esperienza ci ha insegnato che il sistema della perdita dei benefici e il ritardo burocratico nel rilascio del Durc creano danni incalcolabili al sistema economico nazionale. La strada non può essere questa. Serve, invece, una proporzionalità tra violazione e sanzione: se regolarizzano nei termini, i datori di lavoro mantengono il diritto ai benefici sia normativi che contributivi. Questo significa salvaguardare l’operatività delle imprese e i posti di lavoro. Se però l’inadempimento risulta insanabile, i benefici saranno recuperati.
Uno dei punti deboli del sistema dei controlli è rappresentato dalla carenza di ispettori: nel complesso tra Inl, nucleo specifico dei carabinieri, Inps e Inail quante assunzioni arriveranno e che obiettivo vi ponete sul versante del numero dei controlli?
Il numero degli ispettori, e delle ispezioni, sono stati sempre scarsi in rapporto al numero delle imprese. Stiamo cercando di sopperire a questa carenza antica cercando anche di dotare gli ispettori degli strumenti per svolgere al meglio il loro lavoro. Non è solo una questione di numeri. Ma già con gli oltre 800 ispettori inseriti nel 2023, puntiamo a un aumento del 40% dei controlli nel 2024. Stiamo poi valutando, insieme al ministero della Funzione Pubblica, la possibilità di un reclutamento straordinario sui ruoli tecnici dell’Ispettorato, che presenta però delle criticità rispetto alla classificazione contrattuale. Nel frattempo, gli ulteriori 766 ingressi accordati con il Dl Pnrr dovrebbero avvicinarci al nostro obiettivo di raddoppiare i controlli. Oltre al progressivo miglioramento della capacità d’intelligence dell’Ispettorato per ispezioni mirate, diamo così maggiore sostanza alla vigilanza per il contrasto delle irregolarità.
Voltando pagina, sulle politiche attive state coinvolgendo concretamente le agenzie per il lavoro e i fondi interprofessionali per favorire l’occupabilità?
Puntiamo a creare occupazione, non sussidi passivi. Le nuove misure di inclusione sociale e lavorativa, con i loro effetti sul mondo del lavoro, ne sono una testimonianza: fanno dialogare due mondi, sfruttando anche le potenzialità della tecnologia, per accompagnare o riaccompagnare le persone nel sistema socio-lavorativo. Un meccanismo perfettibile con interventi sui territori, sull’efficacia dei corsi e la classificazione dei beneficiari dopo la fase di assessment. L’esempio è dato dalla revisione del Programma GOL: entro fine mese, invieremo il programma definitivo delle modifiche alla Commissione Europea, condividendolo con le Regioni. Quanto alle agenzie, in questo cambio di paradigma sono finalmente coinvolte, anche se per il momento su politiche specifiche. L’intenzione è quella di ampliarne l’impiego, anche in vista del prossimo periodo di programmazione europea e delle varie tipologie di fondi disponibili. Per quelli interprofessionali, è tempo di confronto sugli aspetti da potenziare dopo la gestione di progetti importanti come il Fondo Nuove Competenze. Il loro supporto è ipotizzabile su forme di politica attiva che vanno oltre l’aspetto puramente formativo.
Quali sono le ragioni che vi hanno spinto a sopprimere Anpal, l’agenzia indipendente creata nel 2015, e a riportare le politiche attive sotto il ministero del Lavoro?
Abbiamo solo posto rimedio a una situazione di sostanziale stallo che abbiamo trovato, senza penalizzare l’intero sistema. La nascita di Sviluppo Lavoro Italia e l’introduzione del sistema misto pubblico-privato costituiscono le basi per la nuova stagione delle politiche attive. Che sono fondamentali per fare sì che i cambiamenti nel mondo del lavoro vadano in parallelo con l’aggiornamento delle competenze, sia di chi deve entrare nel mondo del lavoro sia di chi, senza upskilling e reskilling, rischia di finire ai margini. Nel 2015, quando è nata l’Anpal, l’obiettivo era quello di unificare le politiche del lavoro superando il regime concorrente Stato/Regioni e le difficoltà operative. Le sono stati affidati la gran parte dei Fondi europei destinati proprio alle politiche del lavoro. Ma il risultato negativo del referendum del 2016 ha reso impossibile raggiungere il fine statutario. Per questo abbiamo scelto di far rientrare le competenze prima affidate ad Anpal e Anpal Servizi tra le funzioni ministeriali, così abbiamo un solo interlocutore per disegnare le politiche del lavoro, che potrà contare sulla propria agenzia in house per l’attuazione nei territori.