Dal pacchetto Treu al Jobs act, passando per la legge Biagi e per il testo unico Sacconi. Quattro riforme nell’arco di quasi 30 anni, eppure l’apprendistato non è ancora riuscito a decollare. Anzi nel 2023 il contratto di lavoro a contenuto formativo che dovrebbe rappresentare il principale canale di ingresso dei giovani nel mondo produttivo presenta addirittura numeri in calo. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio precariato dell’Inps, tra gennaio e ottobre 2023 le assunzioni in apprendistato sono state poco più di 288mila, contro le quasi 302mila dello stesso periodo 2022. Anche le trasformazioni di apprendisti a tempo indeterminato, nei primi 10 mesi dello scorso anno, sono state poco più di 83mila, contro le circa 98mila del 2022.
Strumento poco utilizzato e solo il “professionalizzante”
Nonostante semplificazioni, incentivi, l’apertura anche ai disoccupati, un collegamento con la scuola e l’università (per l’apprendistato di 1° e 3° livello) questo strumento ha sempre coinvolto intorno al mezzo milione di persone l’anno, secondo il monitoraggio Inapp. Di questi il 97% circa è rappresentato dall’apprendistato professionalizzante, l’istituto finalizzato a imparare un mestiere. Di apprendistato di 3° livello, di alta formazione e ricerca, se ne contano poco più di mille l’anno. Gli apprendisti di 1° livello per la qualifica e il diploma, sono circa 10mila l’anno.
In base all’ultimo monitoraggio compiuto dall’Inapp, diffuso a ottobre 2023, l’età media dei lavoratori con contratto di apprendistato è intorno ai 25 anni. A livello regionale (dati 2021) in Lombardia che si concentrano più apprendisti (circa 99mila rapporti di lavoro in media nel 2021, pari al 18,2% del totale). A seguire: Veneto, Emilia-Romagna e Lazio a quota rispettivamente 12,1%, 10,4% e 10,1% nel 2021. Ancora più dietro Piemonte e Toscana (rispettivamente 8,6% e 7,8% nel 2021). In queste sei Regioni si concentra poco più del 67% dei rapporti di lavoro medi in apprendistato. Guardando poi ai settori gli apprendisti sono concentrati nel Commercio (20,7% del totale, sempre nel 2021), le Attività manifatturiere (16,3%) e le Altre attività di servizi (13,4%); più del 50% dei contratti in apprendistato riguardano questi tre settori. Con riferimento alle sole aziende artigiane, prevalgono le Attività manifatturiere (30,8%), le Costruzioni (23,4%), i Servizi sociali e alla persona (19,3%) che totalizzano il 74% dei contratti in apprendistato.
Quanto ai diversi freni alla diffusione dell’istituto: «Occorre raccordarlo con gli altri incentivi alle assunzioni in vigore – sottolinea Matteo Colombo, ricercatore di Adapt- per evitare sovrapposizioni, con l’effetto di orientare le scelte dei datori di lavoro su tipologie contrattuali più convenienti. Inoltre manca un unico interlocutore, ci sono norme regionali differenti e questo complica molto la scelta delle imprese».
Le modifiche allo studio da parte del governo Meloni
Per rilanciare l’apprendistato, nel collegato Lavoro il Governo sta pensando di introdurre modifiche normative. Un primo intervento ha l’obiettivo di rendere l’apprendistato “più praticabile” alle Pmi, con la possibilità di passare da una forma di apprendistato all’altra senza eccessivi vincoli, e consentire, ad esempio, anche che due aziende possano redigere un unico piano formativo “integrato” al fine di consentire allo stesso giovane di poter svolgere anche due rapporti di apprendistato “in parallelo”, per un periodo presso una impresa e per il successivo presso l’altra. Novità che si affiancano a quelle in materia di apprendistato formativo con la possibilità, a partire dal 2024, di poter destinare i 15 milioni stanziati per il finanziamento delle attività di formazione dell’apprendistato professionalizzante a tutte le tipologie, compreso l’apprendistato di alta formazione e ricerca che non riceve specifici finanziamenti nazionali.