Il passare dei mesi e l’avanzare del dialogo negoziale per il rinnovo dei contratti del terziario, distribuzione e servizi, della distribuzione moderna organizzata e della distribuzione cooperativa, non hanno portato verso il rinnovo che chiedono i lavoratori che sono scesi in piazza con manifestazioni molto partecipate a Roma, Milano, Napoli, Palermo e Cagliari.
Hanno deciso di scioperare in una giornata molto significativa per il settore, nel bel mezzo del periodo più importante per gli incassi. I 4 diversi contratti che Filcams, Fisascat e Uiltucs firmano con ciascuna delle associazioni datoriali, Confcommercio, Federdistribuzione, Confesercenti e Coop, sono scaduti nel 2019: alla fine dello scorso anno c’è stato un accordo ponte che ha garantito una una tantum di 350 euro e un acconto sui futuri aumenti di 30 euro, considerato il livello medio di riferimento. L’intendimento, almeno dal lato sindacale, era però che poi si rinnovassero i contratti che riguardano quasi 3,5 milioni di lavoratori, a cui si aggiungono quelli del turismo, della ristorazione collettiva e commerciale, delle agenzie di viaggio e delle aziende termali che aspettano il rinnovo in media da 3 anni e portano il contatore dei lavoratori con contratto scaduto nei 2 comparti sopra i 5 milioni. Se nel commercio i negoziati sono proseguiti e c’è stato l’accordo ponte, nel turismo no e i negoziati non sono mai realmente partiti.
Lo sciopero e l’onda mediatica
Lo sciopero non ha causato la chiusura di negozi, ma disagi organizzativi soprattutto nelle aziende più grandi dove c’è una presenza sindacale. Federdistribuzione che rappresenta le imprese di maggiori dimensioni, ieri, ha spiegato che gli associati erano impegnati a fare sì che le attività si svolgessero regolarmente, limitando i disagi. Secondo una prima stima della Federazione, nelle aziende associate, le adesioni sono state tra il 7 e l’8%. Resta l’auspicio «a giungere nel più breve tempo possibile al rinnovo con soluzioni equilibrate sia per i lavoratori che per le imprese del settore». Il comparto, più in generale, però, si caratterizza per dimensioni d’impresa molto piccole. Se prendiamo Confcommercio la maggior parte ha meno di 15 dipendenti e in aziende di queste dimensioni la sindacalizzazione non c’è, tant’è che dall’associazione spiegano che il tasso di sindacalizzazione non arriva alle due cifre. Lo sciopero però ha avuto un’eco mediatica importante, con manifestazioni molto partecipate in diverse città, tra cui Roma, Milano, Napoli, Cagliari e Palermo. Dopo la piazza adesso però bisogna tornare a quel tavolo dove una decina di giorni fa Confcommercio e Confesercenti hanno tentato l’affondo, senza però raggiungere l’obiettivo di fare il contratto entro l’anno. E di evitare la piazza mediatica. Federdistribuzione ha ugualmente lanciato segnali di apertura e di volontà di arrivare a un’intesa
La scelte delle Coop
La distribuzione cooperativa ha scelto di muoversi in un modo diverso, dando una tranche di aumento da considerare un nuovo anticipo sui futuri aumenti contrattuali. Da Coop spiegano che «per ragioni anche storiche e di caratteristiche di impresa Coop ha un costo del lavoro più alto, riconosce maggiori garanzie in termini ad esempio di malattia e welfare. La platea è di oltre 57mila dipendenti di cui oltre il 94% con contratti di lavoro a tempo indeterminato e circa il 50% full time». Dopo l’accordo ponte del dicembre del 2022 , a novembre di quest’anno, dato lo stato della trattativa, sempre molto tesa, «è stato deciso a novembre questa volta in maniera unilaterale di erogare 30 euro lordi di aumento mensile al IV livello riparametrati sugli altri livelli di inquadramento che i lavoratori hanno ricevuto nella busta paga di dicembre». Si tratta complessivamente di 30 milioni di euro. Dopo lo sciopero anche le Coop auspicano di riprendere la trattativa.
La produttività e gli automatismi
Di fatto lo sciopero allungherà ulteriormente i tempi del rinnovo perché adesso è difficile sedimentare in pochi giorni e voltare pagina per arrivare al rinnovo. Da un lato il sindacato rischierebbe di non essere credibile e qualcosa dovrà cedere rispetto a quanto rivendica, mentre dall’altro le imprese non possono concedere un tavolo negoziale subito dopo una protesta arrivata in un momento così importante per il settore.